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sabato 29 novembre 2025

Civiltà friulana

 

disegno di Emilio Cencich


Polentine cjalde,
polentine frede,
polentine rustide,
stantice plui di nûf dîs.
A cui che i plâs cjalde
a cui che i plâs frede
a cui che i plâs rustide,
ma stantice* plui di nûf dîs.
In “Fruts pal mont…”
*Stantice = rafferma
polente la Soluzion:
Induvine induvinacul:
O ai une bree
che e clame dongje
dute la famee.

venerdì 28 novembre 2025

Nasce l’associazione che propone l’istituzione di un biotopo


 Erano i giorni dell’ultima luna piena dell’estate 2016. L’alta valle del Judrio, uno scrigno di biodiversità incontaminato e poco conosciuto anche da quanti abitano a ridossodel confine, ebbe il suo momento di popolarità inatteso. Il raduno hippie della Rainbow family di quei giorni innescò una (piuttosto inutile) polemica agostana. Dirette delle tv private e di Stato, paginoni dei quotidiani più diffusi perché al raduno era tollerato il nudismo. L’attenzione mediatica si spense prima che il raduno terminasse. Ma, in seguito, l’alto corso del Judrio, con i gamberi di fiume, le pozze e le cascate, è diventato meta di un numero crescente di visitatori. Ad oggi, però, il territorio che si trova nei comuni di Stregna e, di là del confine, Kanal ob Soči, non gode di nessuna forma di tutela.

Per questo, lo scorso 22 novembre, nove residenti dei paesi dell’alto corso del fiume – sia in Italia che in Slovenia –, hanno dato vita all’associazione ‘Abitanti della Val Judrio – Prebivalci Idrijske doline’. Il fine, ci spiega il presidente Giulio Bisesi, è quello di proteggere il fragile ecosistema della valle, dei corsi d’acqua, della biodiversità animale e vegetale. “Negli ultimi anni, con la diffusione dei social network, – ci dice Bisesi –l’afflusso di persone è in costante aumento. Di per sé questo non sarebbe un problema, anzi è un bene che il valore di questo paesaggio venga riconosciuto e che le persone possano visitarlo. La situazione va però regolamentata.” Ogni settimana, ci dice, raccoglie personalmente diversi sacchi di immondizia lasciati sulle sponde del fiume. L’uso di prodotti chimici dei bagnanti (anche solo i collari antipulci dei cani) compromette pesantemente la qualità dell’acqua, con ovvie ripercussioni sulle specie animali che lo abitano. Inoltre, aggiunge il presidente della nuova associazione, negli ultimi tempi si assiste a un crescente afflusso di mezzi a motore. Lo scorso anno lungo il corso del fiume, fra boschi e radure, si sono ritrovati più di 200 motociclisti. Un danno per le viabilità, per gli animali, per le uova dell’ululone dal ventre giallo, una rana la cui presenza in Italia è considerata a rischio sopravvivenza. Che lì, nell’alta valle del Judrio, depone le uova quasi esclusivamente nelle pozze della strada bianca che costeggia la riva del fiume.



L’associazione, già nello statuto, ha anche individuato uno strumento di tutela che ai nostri lettori dovrebbe suonare familiare: fra le finalità, infatti, c’è quella di istituire un biotopo naturale.

Un riconoscimento giuridico regionale che potrebbe regolamentare la pressione antropica sul territorio. Senza vietarla, ma informando adeguatamente i visitatori sui comportamenti da tenere, consentendo le attività che possono mantenere l’equilibrio del territorio, limitando quelle che possano comprometterne la sopravvivenza. “Un riconoscimento necessario – chiosa Bisesi – visto che le valli ‘pulite’ come questa, non in montagna, sono rarissime. Se dovesse diventare un parco giochi, come sta rischiando di diventare, perderemmo una perla, per cui noi siamo disposti a lottare con le unghie e con i denti”. 

Le amministrazioni comunali di Stregna e Kanal ob Soči, abbiamo appurato, concordano sul fatto che la l’alta valle del Judrio necessiti di una qualche forma di tutela. Anche se resta aperta la questione delle diverse normative che disciplinano la materia nei due Stati. 

Lo statuto dell’associazione si riferisce al territorio – sulle due sponde – compreso fra le frazioni di Melina e Clabuzzaro. 

Il biotopo che viene proposto sarebbe quindi il secondo sul territorio comunale di Stregna, visto che, più in alto, nel 2019 è stato istituito quello dei ‘Prati di Tribil Inferiore – Dolenji Tarbij’. Già nel corso dell’estate, le amministrazioni comunali di Pulfero e Torreano hanno mosso i primi passi per l’istituzione di due biotopi, sul monte Joanaz e sul Kraguenca. Quindi proprio su quei prati su cui pende la spada di Damocle del progetto per il grande parco eolico ‘Pulfar’. L’idea di istituire lì un biotopo, inoltre, era anche uno dei punti della petizione promossa dal Comitato Proteggiamo il Craguenza / Zaščitimo Kraguojnco, sottoscritta da più di 3mila cittadini e consegnata in Consiglio regionale a Trieste lo scorso 29 ottobre.

Le iniziative si muovono tutte nella direzione di quella che potrebbe essere una novità legislativa: la Regione sta infatti predisponendo una revisione delle leggi che disciplinano le aree naturali tutelate e dovrebbe introdurre una nuova forma di salvaguardia: ‘la rete di biotopi’, una sorta di forma di tutela intermedia fra parco regionale e singolo biotopo.

dal Novi Matajur

lunedì 24 novembre 2025

Finding Freedom (Troverò la libertà) di Wadia Samadi

 





Mi sveglio ogni mattina progettando la mia fuga
Ma che ne sarà dei miei figli?
Chi mi crederà?
Chi mi darà una casa?
Passano gli anni e io sto ancora aspettando
Quando finirà tutto questo?

Il mio trucco non copre il mio viso livido
Il mio sorriso non nasconde il mio volto tirato.
Eppure, nessuno viene ad aiutarmi
Dicono: andrà meglio
Dicono: non parlarne
Dicono: questo era il mio destino
Dicono: una donna deve tollerare
I panni sporchi si lavano in famiglia, dicono.
Quando finirà tutto questo?

Ancora una volta, trascina il mio corpo sul pavimento.
Mi soffoca e io lo imploro di non uccidermi.
Ancora una volta, pretende il mio silenzio
Ancora una volta mi dice che non merito di vivere.

Ne ho avuto abbastanza
Non voglio tacere
Vivrò
Troverò la libertà
Tutto questo finirà oggi.

(trad. Libreriamo)

***********************


La giornata internazionale contro la violenza sulle donne è stata istituita dall'Onu nel 1999, in ricordo delle tre sorelle Mirabal, deportate, violentate e uccise il 25 novembre 1960 nella Repubblica Dominicana.

Proverbio friulano


 Il proverbio friulano

Cui c’al ûl la ocje fine, la compri Sante Caterine. Chi vuole l’oca buona la comperi santa Caterina, che si festeggia martedì 25 novembre

venerdì 21 novembre 2025

E MI SIEDO VICINO ALLA STUFA

 

immagine creata con IA

HALINA POŚWIATOWSKA

E MI SIEDO VICINO ALLA STUFA

e mi siedo vicino alla stufa
e cerco di cogliere il tempo con le mani nel sacco
il delicato ondeggiare delle tende
la fosforescenza delle pareti
i libri che danzano
sullo scaffale di legno
la foglia astratta sul tappeto
il fiore messicano
che racchiudo
in un solo respiro

(da Ancora un ricordo, 1967)


Halina Poświatowska nata Halina Myga (Częstochowa, 9 maggio 1935 - Varsavia, 11 ottobre 1967), poetessa e scrittrice polacca. La sua poesia è appassionata ma non sentimentale e tratta i temi dell'amore e della morte e dell'ineluttabilità del suo destino - aveva un difetto cardiaco allora incurabile.


giovedì 20 novembre 2025

mercoledì 19 novembre 2025

Maltempo,frana in Friuli,2 morti


A Cormons (Gorizia) è stato recuperato il corpo di Guerrina Skocaj, l'anziana dispersa a seguito del crollo di una abitazione di tre piani a causa di una frana di fango. Sotto le macerie, i vigili del fuoco avevano ieri sera recuperato il corpo esanime di Quirin Kuhnert, il 32enne tedesco anche lui travolto da una frana che ha colpito l'abitazione di Brazzano.

continua su: https://www.fanpage.it/live/maltempo-diretta-frana-friuli-gorizia-dispersi-notizie-18-novembre-2025/    https://www.fanpage.it/

martedì 18 novembre 2025

Una vita da Opicina alla Benečija

 


Tutti in Benecia conoscono Živa Gruden. Il suo nome è indissolubilmente legato alla scuola bilingue Paolo Petricig di San Pietro che ha diretto dall’avvio, in un clima ostile al riconoscimento dei diritti linguistici della minoranza slovena in questa zona, fino alla pensione. Per la Benecia è anche un’intellettuale di riferimento e un’attivista instancabile della comunità.

La sua storia è stata raccolta nel docufilm di Aljaž Škrlep, prodotto da Rai Slovenski program e realizzato da Video Pro, ‘Živa Gruden: da Opicina alla Benecia’, presentato in anteprima allo Slovenski kulturni dom di San Pietro lo scorso 7 novembre.

Trentuno minuti in cui, ha spiegato il regista introducendo la proiezione, “Živa racconta Živa”, con una serie di interviste realizzate sui luoghi più significativi in cui ha vissuto, superando la sua proverbiale reticenza a parlare di se stessa.

continua https://novimatajur.it/home/ziva-racconta-ziva-una-vita-da-opicina-alla-benecia.html

IL FOGOLAR

 

FOGOLAR A VILLANOVA ZAVARH
Elemento fondamentale e caratterizzante della cucina friulana è il fogolâr, anche se sembra che tale struttura si sia diffusa solo negli ultimi secoli. Infatti nelle prime case friulane il focolare era costituito da quattro legna messe in croce e poste sul pavimento, al centro dell'unico locale dove si viveva. Il fumo usciva da una piccola finestra posta in alto o attraverso la porta a seconda delle stagioni; non c'era canna fumaria, poiché essendo il tetto di paglia c'era pericolo che le faville che uscivano dal comignolo provocassero incendi. Non essendoci pertanto la canna fumaria, il fumo, prima di uscire, vagava per la cucina deponendo caliggine sulle pareti e sulle travi. La cucina veniva chiamata cjase de fum. La gente allora sapeva convivere con il fumo: bastava stare seduti, mentre la cappa di fumo fluttuava sopra le teste. Anche il forte odore di fumo che impregnava abiti e capelli non era un problema poiché tutti lo portavano addosso. Va ricordato che spesso veniva messa ad ardere legna verde di acacia, poiché era l'unica a bruciare senza essere stagionata. Il fogolâr non segue un'ubicazione fissa, in tutti i casi viene considerato come elemento determinante della tipologia costruttiva della casa friulana. Il vano destinato al focolare era comunicante con la cucina per mezzo di un ampio arco, spesso chiuso da una porta a vetri.
Essendo il focolare il punto più caldo della casa, intorno ad esso si riunivano, soprattutto al momento del pranzo, le donne, gli anziani, i bambini. Nel vano focolare correva lungo tre lati un unico pancone (bancjon) che accoglieva i numerosi commensali al momento del pasto e la famiglia, quando questa si riuniva intorno. Proprio perché il focolare era il punto più caldo della casa, in alcune famiglie venivano messi, nel vano del fogolâr, i bachi da seta appena portati a casa, quando erano ancora piccolissimi e occupavano poco spazio, perché non prendessero freddo, altrimenti c'era il rischio che morissero. Il piano del focolare era sempre rialzato di almeno 50-60 centimetri rispetto al pavimento, aveva un rivestimento esterno di mattoni ed il ripiano superiore era in lastre di pietra o sempre di mattoni. Spesso nella parte anteriore c'era una piccola rientranza ad arco (le entrade) che permetteva alle donne di avvicinarsi alle pentole. Sempre nella parte anteriore, vicino al pavimento, c'era una cavità che serviva a contenere una piccola scorta di legna. Ai lati dell'entrade c'erano due sportellini che contenevano due fornelli che, riempiti di braci, servivano a cuocere pietanze senza fuoco vivo. Sopra la base del focolare troneggiava il cjavedâl chiamato in italiano "alare doppio". Il cjavedâl costituiva un valore per la famiglia, perché spesso era elaborato, costruito in ferro battuto e reso prezioso dai virtuosismi del fabbro che lo creava. Era composto essenzialmente da quattro barre che gli davano la forma rettangolare (m. 1.20 di base e m. 1 di altezza) e poggiava su due coppie di piedi distanziate dal traviers. Nei montanti verticali erano situato due bracci girevoli recanti una breve catena che terminava con un gancio a cui venivano appesi i pentolini per la cottura o per tenere in caldo il cibo. Nella parte superiore di questi montanti si trovava un cestello a forma di calice (le citarie) che serviva a contenere la ciotola del sale, ma anche per tenere in caldo quale pietanza.
Gli accessori del cjavedâl, che venivano appesi ad esso mediante un uncino erano: les moletes, che servivano per raccogliere le braci, el palet che serviva per la cenere, el tirebores per attizzare il fuoco. Sempre unito al cjavedâl era il cjadenaç una pesante catena che pendeva dal soffitto direttamente sul fuoco e serviva a sostenere il paiolo per la polenta (cjalderie) quasi sempre in ghisa. In occasione della Pasqua, per le grandi pulizie della casa, anche il cjadenaç annerito dalla caliggine veniva pulito e fatto brillare. Tale compito era affidato ai bambini e ai ragazzi, che lo trascinavano correndo per le strade sassose fino a farlo brillare. Questo incarico fruttava loro una lauta mancia a cui non avrebbero rinunciato. Appeso al cjadenaç vi era sempre il paiolo (le cjalderie) di ghisa o di rame per la polenta, alimento principale della famiglia friulana, che veniva mescolata, (pocade), con un grande mestolo di legno (le mace de polente). Altri recipienti sul focolare erano il cjalderin, una piccola caldaia in miniatura, di rame, usato per fare il caffè d'orzo (l'orzo veniva tostato sul fuoco col brustulin un tostaorzo che poteva avere forma di padella, di sfera o di cilindro con un lungo manico) ed eventuali padelle di coccio (pignates di crep).Per la minestra veniva usata una pentola di rame nota col nome di stagnade per il rivestimento interno di stagno, ma anche come pignat di ram pe mignestre. Sulla base del focolare trovava posto anche il treppiede (trêpîts) di ferro battuto su cui appoggiavano le pentole di coccio o di rame per riscaldare i cibi. Il trêpîts veniva usato anche per poggiarvi la caldaia e fare la polenta, poiché dava maggior stabilità quando questa veniva mescolata con energia (pocade). In molte famiglie di faceva il pàn di cincuantin, che si metteva a cuocere sotto la cenere calda chiamata in friulano buiade e veniva avvolto nelle foglie di verza, che ne proteggevano la cottura e facevano si che il pane non si sporcasse di cenere. Quando il focolare era situato nell'apposita stanzetta, il tetto di questa costituiva la cappa, al centro della quale c'era il buco nero del camino.
 In certe case però veniva costruita un'apposita cappa (la nape), presente sempre quando il fogolâr non era appartato. Talvolta, ma non in tutte le famiglie, attorno alla cappa si appendeva ad asciugare la carne di maiale appena macellata. Un'usanza del primo giorno di Quaresima era quella di appendere alla cappa del camino un'aringa per affumicarla. I componenti della famiglia, a turno, toccavano con la loro razione di polenta il pesce penzolante, accontentandosi di mangiarne il… sapore. In alcune famiglie addirittura il capofamiglia prendeva l'aringa, la toccava con la sua polenta e poi la lanciava al figlio maggiore e questo, dopo essersi servito la lanciava al fratello e così via fino ai più giovani della famiglia. Una specie di gioco burlesco, che forse confondeva la mancanza di cibo.L'aringa veniva messa via per il giorno dopo. Un'astuzia di certe massaie era quella di appendere alla cappa del camino dei sacchetti di tela di lenzuolo con dentro le sementi del radicchio e dell'insalata, perché col vapore del camino si gonfiavano e così si accellerava la nascita delle piantine. La cappa del camino, nelle buie sere d'inverno, costituiva per i bambini una presenza misteriosa e talvolta paurosa. Santa Lucia, la Santa portatrice dei doni, era spesso raffigurata come una vecchia cieca e pronta a punire chi restava sveglio e quindi la buia cappa del camino rappresentava per molti la via attraverso cui ella poteva arrivare. Il focolare del museo è situato in una stanzetta costruita sul lato ovest della cucina. Legata strettamente al fogolâr come luogo "sacro" della famiglia friulana c'è la tradizione natalizia, che voleva la famiglia riunita la notte di Natale intorno al fuoco, su cui veniva posto un grande ceppo, (el nadalin), che doveva ardere tutta la notte. Il ceppo veniva conservato da un anno all'altro. Era inoltre consuetudine pratica dei fori nel ceppo per permettere al fuoco di lambirlo lentamente, penetrando nel legno e creando un effetto particolare. Va ricordato che il fuoco del fogolâr era acceso soltanto per fare da mangiare, non serviva per il riscaldamento, poiché la famiglia, soprattutto alla sera, dopo cena si ritirava in file nella stalla.

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